Monografie Scientifiche, Serie
Scienze Umane e Sociali
Consiglio Nazionale delle
Ricerche, Roma 1999, 460 pp.
Donne filosofia e
cultura nel Seicento si presenta come
un’esplorazione della cultura femminile europea nel XVII secolo, periodo nel
quale il crescente interesse delle donne per gli studi filosofici denota
l’aspirazione sempre più forte e diffusa ad un sapere tradizionalmente di
appannaggio maschile. Escluse dalle carriere intellettuali e vedendosi spesso
negato l’accesso all’istruzione e ai suoi luoghi, le donne partecipano però in
prima persona alla circolazione di nuove idee, sebbene i loro scritti abbiano
scarsa visibilità e pochi riconoscimenti.
È intorno alla metà del secolo che si accende
la questione sull’utilità per le donne di fare della filosofia, con un
proliferare di scritti che per lo più ribadiscono il topos della loro naturale inferiorità e della loro costituzione
fisica inadatta agli studi filosofici. Si passa così dagli elogi bruniani alle
donne inglesi, che però non superano l’apprezzamento del loro ruolo
fisiologico, «cioè di quella bellezza, di quel
splendore, di quel serviggio, senza il quale denno esser stimate più vanamente
nate al mondo che un morboso fungo», alle varie
figure dell’immaginario antifemminile del tempo. Gli studi di fisiognomica
identificavano nel flegma l’elemento dominante la costituzione femminile e da
esso facevano derivare i difetti tradizionalmente attribuiti alle donne: la
gelosia, l’invidia, il rancore, il carattere scaltro e subdolo, imputando la
loro naturale inferiorità morale e fisica all’assenza di calore. Donna, dunque,
come uomo imperfetto, come materia a cui l’elemento maschile conferisce forma;
parimenti oggetto di discussione era se le donne fossero animali ragionevoli e
se possedessero o meno l’anima. L’imputazione di credulità e forte
immaginazione precludeva loro la possibilità di dedicarsi agli studi ed in
particolare alla scienza e alla filosofia; piuttosto, erano riservate alle donne
la poesia e la trattatistica religiosa, considerate ‘innocue’, mentre la
filosofia e la scienza si ritenevano capaci di distoglierle da quella pratica
di umiltà che era necessaria alla loro edificazione morale. Contro questo
diffuso pregiudizio si levò la voce accorata di Anna Maria Van Schurman, una
letterata assai nota e ammirata nelle Provincie Unite che, nella corrispondenza
con il pastore Rivet pubblicata con il titolo Question célèbre s’il est nècessaire ou non ques les Filles soient
sçavantes, condusse con coraggio e competenza la sua battaglia per il
diritto delle donne all’istruzione.
Importanti e numerosi furono infatti i
contributi dell’ingegno femminile al dibattito filosofico del tempo: basti
ricordare i Principia philosophiae
antiquissimae et recentissimae di Anne Conway, una delle rare donne inglesi
del XVII secolo ad essere riuscita a pubblicare un’opera di filosofia. La
Conway riesce a delineare un sistema metafisico assolutamente indipendente
rispetto ai sistemi dualistici di Cartesio e di Henry More che avevano segnato
profondamente la sua formazione: la sua «monistic theory of substance», che rappresenta una sorprendente anticipazione della monadologia di Leibniz, vede infatti
all’opera nella natura una forza spirituale mutevole e molteplice che si rende
manifesta nelle monadi componenti l’unica sostanza. O ancora, l’opera
filosofica e poetica di Damaris Cudworth, formatasi sotto la guida filosofica
del padre e cresciuta nel clima culturalmente assai stimolante del Christ
College di Cambridge. La «useful knowledge»
elaborata dalla Cudworth nella sua originale proposta filosofica, è un genere
di conoscenza teoretica e, insieme, pratico-pedagogica, maturata attraverso la
frequentazione dei filosofi neoplatonici, ma soprattutto attraverso l’assiduo
confronto epistolare con Locke, al quale Damaris era legata da un’amicizia
molto particolare. Anche in Italia non mancarono figure di letterate di
straordinario talento come Giuseppa Eleonora Barbapiccola, fondamentale per la
circolazione nel nostro paese delle opere cartesiane grazie al suo lavoro di
traduzione dal francese, compiuto «per
invogliare alla lettura soprattutto le donne, adatte alla filosofia meglio
degli uomini». Nella prefazione ai Principes di Descartes, la Barbapiccola
polemizza infatti contro il pregiudizio dell’inferiorità della mente femminile,
e denuncia il tipo di educazione che veniva impartito alle donne, tenute
lontane dai testi originali poiché era loro negato l’insegnamento del greco e
del latino, privilegio ancora esclusivamente maschile.
Nell’ampia ricostruzione che questo volume ci
propone non manca un excursus nel
mondo monastico, che nel Seicento rappresentò per molte giovani donne una
destinazione obbligata ma che, se non altro, consentiva loro di acquisire un
grado di istruzione assai elevato e di inserirsi nel territorio
tradizionalmente maschile della cultura scritta. Arcangela Tarabotti, letterata
e filosofa di una certa fama nella Venezia del XVII secolo, dedicò le proprie
energie a denunciare il terribile fenomeno della monacazione forzata, della
quale ella stessa fu vittima. Il monastero benedettino di Sant’Anna, nel quale
trascorse tutta la sua vita, non piegò il suo indomito carattere, e la sua
femminilità ferita trovò espressione nell’Inferno
monacale, lucida denuncia della falsità ed inautenticità della vita
claustrale. Una voce dal silenzio è anche quella di Jeanne Guyon, significativa
espressione della spiritualità francese dell’epoca che, inserita nel più
generale orizzonte di riscoperto interesse per la mistica, offre alla
contemporaneità una direzione alternativa alla ragione classica della
metafisica. Il suo discorso, ben lontano da una riflessione sistematica, si
configura come un itinerario narrativo intessuto di metafore corporee che
esibiscono una esperienza individuale e insostituibile, alla quale il logos astratto non sa dare voce.
Accanto al sorgere di questa nuova figura di femme savante, che susciterà l’ironia di
Molière e di Balzac, nel Seicento si registra un aumento di imprese librarie
gestite da donne, aspetto al quale è dedicata la seconda sezione del volume,
intitolata Il libro, la stampa e le
biblioteche femminili, insieme all’analisi, condotta attraverso materiali
inediti, di biblioteche private appartenenti a donne illustri, come Cristina di
Svezia o Sophie von der Pfalz, Elettrice di Hannover, che testimoniano
straordinari e variegati interessi culturali.
Gli ultimi due capitoli
sono infine dedicati alla produzione pittorica femminile, con una particolare
attenzione alla figura di Artemisia Gentileschi e al genere, allora molto
richiesto, dell’autoritratto, che ha il pregio di mostrare, insieme alla
bellezza della donna, le sue straordinarie capacità artistiche.
Nelle tre sezioni del
volume, dunque, vediamo tracciati percorsi estremamente diversificati, che
aprono in varie direzioni lo sguardo al ruolo del soggetto nel pensiero: una
sorta di archeologia di voci nascoste, di opere conosciute, come attraverso un
calco, dalla corrispondenza con filosofi più noti, una femminilità coraggiosa e
innovativa che emerge a rinnovare il quadro della cultura filosofica,
scientifica, artistica e letteraria dell’Europa seicentesca.