Jean-Luc Nancy
Nell’ampio dibattito sulla globalizzazione o mondializzazione
(per usare il termine francese) viene ad inserirsi il testo di Jean-Luc Nancy,
La creazione del mondo o la mondializzazione (Paris, Galilée 2002),
ora pubblicato in traduzione italiana a cura di Davide Tarizzo e Marina Bruzzese
(Torino, Einaudi 2003). Esso non si presenta come l’ennesimo saggio
introduttivo al tema, ma è piuttosto un tracciato nel tessuto stesso della
mondialità, che intende operare un’apertura decisiva alla continua
creazione del mondo cui siamo esposti senza appello. ‘Apertura’ e ‘creazione’
vanno intese, tuttavia, non come datità del semplice esserci al mondo o passiva
presenza all’Evento della creazione, ma come inalienabile responsabilità etico-politica
dell’uomo nei confronti del mondo. Si tratta, in altri termini, di
un’incursione teorica che evidenzia un nuovo con-venire al mondo inteso sia
come esposizione alla con-possibilità che siamo, sia come pratica, tutta ancora
da tessere ed esperire, di una filosofia politica della coesistenza.
Il libro riunisce e riorganizza alcuni saggi, pubblicati
tra il 1999 e il 2001, tutti iscritti in una comune costellazione semantica.
Tale forma risponde, secondo noi, ad un’esigenza teorica che si presenta come
indifferibile decostruzione di alcuni paradigmi che articolano il concetto
di Mondialità, dall’idea di Mondo a quella di Soggetto, da quella di Creazione
a quella di Rappresentazione. L’assunto di fondo è l’impossibilità, per un
pensiero che voglia confrontarsi con la mondialità come tale, di assumere
la polis come modello politico di riferimento. Detto senza indugi:
«non è più possibile identificare una città che sia davvero “la Città”». Ciò
che si dispiega ormai sul mondo è lo spaziamento di un tessuto megalopolitico
che avvolge e ingloba l’intero mondo conosciuto. Si tratta cioè di una rete
onnicomprensiva e totalmente inclusiva che non ammette eccezioni. Siamo tutti
nello stesso globus che ci tiene avvinti l’uno accanto-contro l’altro.
Se per un verso, infatti, Nancy non ha alcuna difficoltà ad ammettere l’assoluto
«dominio di un impero congiunto della potenza tecnica e della ragion economica
pura», per l’altro ci mette in guardia dall’illusorio tentativo di porci all’esterno
di un suo presunto limite. Come dire che la mondialità non prevede né un fuori-Impero
dal quale osservare o combattere, né possibili defezioni, tanto meno impraticabili
esodi.
«Il mondo, scrive Nancy, ha perso la sua capacità di
fare mondo» consegnandoci ad una dimensione che fa dell’immondo e della sua pulsione di morte i
suoi tratti distintivi. Il riferimento al Marx de L’ideologia tedesca si
fa allora urgente soprattutto se si pensa al tema decisivo della creazione
(Schöpfung) cioè di quel movimento che, dispiegandosi mondialmente,
esplicita la necessità del «godimento della creazione umana da parte di tutti
gli uomini». La mondialità allora, parafrasando l’autore, diviene quella creazione
mutua e reciproca che si configura nella partizione del proprio e nella quale
ognuno è creato-creatore di quella proprietà che rende possibile la comune
condivisione del legame sociale. Al di là di qualsiasi banalizzazione
o peggio ancora di una frettolosa demonizzazione della struttura globalizzata
della realtà sociale, Nancy sembra ricordarci come lo stesso autore del Capitale
prefigurasse già, come intrinseca alla struttura del mercato, una dimensione
propriamente mondiale.
Come cogliere allora il mondo che ci accade e con esso
la Mondializzazione che sembra propagarsi su ogni cosa? Non sarà forse il
mondo stesso a sottrarsi al nostro bisogno di rappresentazione? In questione
sembra allora essere la stessa possibilità di rappresentare un mondo, una
realtà; riemerge così la critica del soggetto che Nancy ha sviluppato in opere
decisive, come La comunità inoperosa, Essere singolare plurale o
Un pensiero finito. Ed è allora nella riflessione di Marx che egli
sembra cogliere l’idea di una mondialità concepita in termini coesistenziali.
Il mondo si dà, in tal senso, come unico soggetto della mondialità. Esso,
lungi dal riprodurre le logiche del soggetto presupposto, è «coestensivo alla
sua estensione di mondo». È allora finito il tempo dell’uomo quale ‘unico’
soggetto del mondo. Al di là di qualsiasi umana rappresentazione è lo stesso
sguardo di Dio ad assentarsi e con esso anche ogni possibile incarnazione
immanente dello “Spirito del mondo”. La ricerca del senso, infatti, non ha
da rinviare ad un fuori del mondo. Il senso sembra sottrarsi poiché è lo stesso
‘orizzonte’ del senso a cadere e con esso qualsiasi possibile Weltanschauung.
La creazione del mondo assume così la forma di una
produzione rivolta, al di là dell’accumulazione omogenea del capitale, a un’“appropriazione
condivisa” del valore stesso in un processo di creazione singolare-plurale.
Quella che Bataille avrebbe forse definito come una dépense condivisa
della finitezza. Cogliere il mondo vuol dire, in altri termini, prendere atto
dell’impossibilità di qualsiasi rappresentazione che si risolva univocamente
nella relazione soggetto/oggetto e configurare il mondo come co-esposizione
all’esperienza della mondialità. Interrogarsi sul senso della creazione
vuol dire inoltre prendere le distanze da qualsiasi contesto teologico. Lo
svuotamento dello schema onto-teologico della creazione configura infatti,
per Nancy, la nuova dimensione epocale nella quale ci troviamo. Rinunciare
in tal modo alle tradizionali ipotesi di creazione ex nihilo
significa cioè considerare il mondo come qualcosa da reinventare continuamente.
Creare ogni volta il mondo significa allora prendersi cura di esso e delle
sue possibilità di esistenza.
La lotta che così si inaugura è quella «dell’Occidente
contro se stesso, o del capitale contro se stesso». Lo stesso capitale, infatti,
non può essere esclusivamente interpretato in termini di contraddizione, ma
esige al contrario un pensiero che sia all’altezza di confrontarsi con la
potenza stessa del capitale. «È venuto il tempo di porre il capitale
di fronte all’assenza di ragione di cui esso offre lo sviluppo integrale».
Il mondo implica cioè un pensiero che si articoli, concretamente, in atti
politici, economici e simbolici. In questo scarto emerge il ruolo di una
praxis e di un senso che sempre si dà ‘in comune’. Creazione del mondo
significa allora «riaprire ogni lotta possibile per un mondo, o per ciò che
dovrà infine formare il contrario di una globale ingiustizia imposta dall’equivalenza
generale».
Pur muovendo dall’assunto di fondo di un inderogabile
ripensamento della comunità e dalla destituzione di senso di qualsiasi ‘essenza’
di tipo comunitario, l’autore mantiene inalterata la questione che sottende
a tutta la sua riflessione. Come annodare la molteplicità delle singole esistenze
che sono tenute insieme dal comune tratto del con? Come rendere loro
giustizia? Emerge cioè la domanda decisiva che ci espone tutti al pensiero
di un Mondo, ad una nuova sfida e ad un incessante inizio da avviare. Emerge
allora un tratto costitutivo della coesistenza che è quello dell’incommensurabilità
delle singolarità, di kantiana memoria, che Nancy fa propria nell’assunzione
di una giustizia «senza misura comune». Ha luogo, tuttavia, su questo versante,
uno scollamento decisivo rispetto all’analitica kantiana che tocca direttamente
la questione dell’impossibilità di concepire l’esistenza stessa come oggetto
dell’esperienza possibile. Si riapre in tal senso la necessità di una
sottrazione dell’essere stesso alle possibili connotazioni che ne hanno
fatto una sostanza, un sostrato o un prodotto. L’essere non è un dato.
Si insiste, al contrario, sulla transitività dell’essere intesa come
atto. Al di là della cosa, del fenomeno, ciò che resta è solo un transito
del niente nell’essere. La creazione assume in tal modo il senso di una «decostruzione
del monoteismo» da intendersi come rovescio del nichilismo. Il mondo,
svincolandosi dall’essere dato, da qualsiasi ipotetica presupposizione,
è soltanto presente. Nell’idea di creazione l’infinito si nientifica
così nel finito. Tale transizione ci espone in tal modo all’apertura
intesa come niente in-comune, cioè come con-essere da spartirsi nel
mondo e nella spaziatura infinita della moltitudine di singolarità. La coesistenza
si articola come insistenza del con nella dimensione singolare-plurale
delle presenze. Essa si dispiega allora come ciò che tiene insieme senza
essere uno. Nessuna unità sintetica in cui rintracciare una qualsiasi
essenza comune, nessun nuovo corpo comune da scorgere nell’orizzonte
politico. Ma solo una tenuta assicurata dalla singola improprietà comune,
da quel niente del con che già Arendt individuava nell’infra
che ci accomuna nella separazione.
La decostruzione della tradizione filosofica occidentale
passa in tal senso attraverso il gesto decisivo di una critica del soggetto
e con esso di una necessaria ridefinizione del politico che però non si traduce
affatto in nuova fondazione. Essa, al contrario, muove essenzialmente dalla
rinuncia a qualsiasi fondamento comune, come a qualsiasi violenza fondatrice.
La violenza, infatti, nella sua attuale unilateralità assume il volto
del potere costituito, della sovranità, della pura violenza del Capitale ormai
privo di qualsiasi legittimità. Il nodo cruciale resta quello di una necessaria
cesura tra politica e sovranità. Il politico va sottratto al dominio della
soggettività sovrana, sia essa intesa come individuo, collettivo, corpo organico,
idea o destino. Ciò che emerge è quella che Nancy definisce «una regolazione
senza soggetto del rapporto tra i soggetti». Una politica senza soggetto implica
infatti da un lato l’abbandono del ‘paradigma della sovranità’ inteso come
secolarizzazione del teologico-politico e con esso la riproduzione al suo
interno dell’inconciliabile dualismo Stato-Comunità; dall’altro la necessità
di reinventare una politica intesa come gestione della società civile
che si faccia carico del comune che annoda le singolarità.
Pensare l’al di là del soggetto significa, in tal senso,
rinunciare a qualsiasi paranoia identitaria, tenendo fermo l’assunto
che ciò non si traduce affatto in una politica senza autorità o senza potere
di decisione. La decisione del politico sta tutta nell’affermazione di
quella cittadinanza consegnata alla responsabilità della politica.
Il politico si da allora come gesto singolare-plurale di ciascun esserci-al-mondo.
Nancy, in ultima analisi, sembra propendere per un’idea
di Mondo come declinazione infinita di molteplici differenze. L’unità stessa
del mondo non è infatti ipotizzabile se non come condivisione e
co-esposizione reciproca. Il καιρός
di una tale condivisione, tuttavia, lungi dall’essere un dato, tanto meno
un dono offertoci una volta per tutte, ha luogo, al contrario, nella continua
messa in gioco delle sue possibilità, nell’atto stesso del con-venire. La
coesistenza, in quanto plurale rapporto di partizione di singolarità, si configura
allora come esposizione al con dell’esistenza, all’alterità che ci
individua e alla molteplicità di singolari che si legano nella sociazione
condivisa. La misura del con si rivela, in tal modo, come ciò
che, separando, unisce il comune. È in questo tracciato di singolarità, esposte
al con-tatto e tenute insieme da una comune improprietà, che
ci viene restituito un pensiero finito della creazione del mondo.
Fausto De Petra