Davide Fiscaletti, I gatti di Schrödinger. Meccanica quantistica e visione del mondo, Franco Muzzio Editore, Roma 2007

 

La meccanica quantistica, fin dalle sue origini, ha riscontrato un enorme successo sul piano applicativo, in particolare sul piano delle predizioni empiriche. Ma, nonostante sia una teoria fisica di successo e altamente predittiva, essa conduce a numerosi interrogativi sul suo reale significato e su ciò che essa dice a proposito del mondo.

Il problema essenziale della meccanica quantistica ha a che fare con l’interpretazione del suo formalismo matematico. Albert Einstein affermava che «riguardo al formalismo matematico della teoria non esiste alcun dubbio, ma molti ce ne sono sull’interpretazione fisica delle sue asserzioni»[1]. “Interpretare” qui significa “cercare di comprendere che cosa ci dicono le teorie fisiche intorno al mondo”. Una teoria fisica aspira, infatti, a essere il racconto ragionevolmente fedele della realtà fisica e delle sue caratteristiche.

Esattamente dal bisogno di comprendere la struttura intrinseca del reale è nato il dibattito su come si debba interpretare la Meccanica Quantistica. Il lavoro di Davide Fiscaletti si propone di esaminare quelle che storicamente possono essere considerate le più importanti interpretazioni di questa teoria: l’interpretazione ortodossa, nota anche con il nome di “interpretazione di Copenaghen”, la teoria di Ghirardi, Rimini e Weber, l’interpretazione a molti mondi, l’interpretazione a molte menti, l’interpretazione a molte storie e la teoria dell’onda pilota di David Bohm. Quale immagine del mondo ci propone ciascuno dei sopraccitati schemi interpretativi?

Il problema relativo all’interpretazione da dare alla teoria quantistica ruota, a parere dell’autore, attorno ad alcune questioni fondamentali: la descrizione causale dei processi atomici e l’oggettivazione delle proprietà macroscopiche. Una delle chiavi di volta della meccanica quantistica risale al 1927 e si tratta del noto principio di indeterminazione formulato da Werner Karl Heisenberg[2]. Questo principio sostiene che non si possono attribuire “troppe” proprietà a un sistema fisico individuale: non è possibile, ad esempio, conoscere simultaneamente con precisione il valore di una qualsiasi coppia di variabili coniugate, come ad esempio posizione e quantità di moto. Heisenberg quantifica esattamente l’imprecisione nella seguente formula:

ΔxΔp ³ ħ/2

In cui Δx è l’errore della posizione e Δp quello della quantità di moto, mentre ħ è la costante di Planck normalizzata.

Il principio di indeterminazione ci dice che quanto più precisamente misuriamo la posizione di una particella microscopica, tanta maggiore indeterminazione produciamo nella sua quantità di moto e viceversa. Quali sono le considerazioni a livello interpretativo che Heisenberg propone delle relazioni di indeterminazione? Lo scienziato, insieme con gli altri teorici dell’interpretazione ortodossa della Meccanica Quantistica, conclude che è l’interazione tra osservatore e oggetto in esame a provocare i grandi cambiamenti nel sistema osservato.

Vediamo cosa dice l’autore del nostro libro al riguardo:

Per Heisenberg, in sostanza, l’uomo non è in grado di determinare con precisione lo stato di un dato sistema microscopico perché, nel suo tentativo di conoscere il mondo microscopico, usa una strumentazione che come lui è macroscopica: ne discende così un fatale “disturbo” ogni qual volta l’uomo cerca di investigare quel mondo (possiamo dire – usando un linguaggio un po’ pittoresco, ma che comunque funziona bene a focalizzare le idee di Heisenberg – che l’uomo nel tentativo di studiare i fenomeni atomici, è come un “elefante che entra dentro una cristalleria”).[3]

Come osserva Fiscaletti, il principio di indeterminazione implica importanti conseguenze per quanto concerne la causalità. Se, infatti, in un dato istante conosco con precisione la posizione di un sistema microscopico, ma non conosco la sua quantità di moto, non potrò conoscere neppure la sua posizione a un istante successivo qualsiasi e non potrò, dunque, seguire il moto (la traiettoria) di tale sistema. Tutto questo, naturalmente, accade perché il sistema viene influenzato in maniera del tutto incontrollabile dall’atto di osservazione.

Strettamente legato al principio di indeterminazione è il principio di complementarità enunciato da Niels Bohr sempre nel 1927[4]. Riprendendo le parole di Fiscaletti si può dire che «il principio di complementarità […] consiste nel sostenere che fra descrizione causale e descrizione nello spazio-tempo dei processi atomici ci sia un’irriducibile incompatibilità»[5].

La meccanica classica è caratterizzata dal fatto che una descrizione causale non esclude una descrizione spazio temporale e viceversa. Ciò diventa, invece, impossibile nel dominio dei fenomeni atomici e «ogni tentativo di ordinare un dato fenomeno microscopico nello spazio-tempo porta a una rottura della catena causale»[6]. Possiamo dire, in maniera molto semplificata, che se in un dato istante osservo la posizione di un sistema microscopico con estrema precisione, e quindi colloco il mio sistema nello spazio-tempo, per le relazioni di indeterminazione non conosco assolutamente nulla di preciso sulla quantità di moto e pertanto non so assolutamente nulla su come evolverà il sistema: l’osservazione precisa nello spazio e nel tempo elimina ogni possibile verifica della legge di causalità. Come osserva l’autore, «l’alternativa sarebbe, insomma, tra una causalità in un mondo sconosciuto e una descrizione priva di cause nello spazio tempo»[7].

Ma poniamoci ora un importante quesito: è possibile, in linea di principio, un completamento causale della meccanica quantistica? L’idea della rinuncia a una descrizione causale dei processi subatomici è stata formulata in termini matematici nel 1932 da John von Neumann[8]. Il teorema di impossibilità di von Neumann stabilisce che ogni tentativo di rileggere in una prospettiva causale la Meccanica quantistica, attuando il completamento deterministico della teoria per mezzo di variabili “nascoste”, è destinato a fallire.

I sostenitori dell’interpretazione ortodossa usano il teorema di impossibilità contro ogni tentativo “eretico” di rendere epistemica l’aleatorietà dei processi naturali messi in luce nei numerosi esperimenti. Secondo l’interpretazione ortodossa, dunque, la non-causalità dei processi microscopici è qualcosa di intrinseco alla natura dei sistemi subatomici.

Tuttavia, come sottolinea Fiscaletti, è necessario ricordare che esiste un modello teorico che realizza proprio ciò che il teorema di impossibilità di von Neumann proibisce. Il modello teorico in questione risale agli anni Cinquanta ed è stato proposto da David Bohm; esso fornisce un’interpretazione causale a “variabili nascoste” della Meccanica Quantistica ed è del tutto coerente con essa sul piano fisico. La formulazione di Bohm mostra che il teorema di von Neumann non ha validità generale: il teorema di impossibilità è valido, infatti, solo per una particolare classe di teorie a variabili nascoste, quelle “non contestuali”, cioè quelle secondo cui il valore di una data grandezza è indipendente dal contesto. Secondo la teoria di Bohm è possibile, dunque, un completamento causale della Meccanica Quantistica per mezzo di variabili nascoste, ma questo completamento, come vedremo in seguito, è di tipo non-locale.

Prima di affrontare una dettagliata trattazione della teoria di David Bohm è bene ritornare, stando anche a quanto fa l’autore, al principio di complementarità. La complementarità stabilisce, oltre a un’incompatibilità tra descrizione causale e descrizione spazio-temporale, che ogni applicazione concreta di concetti classici rende impossibile l’uso simultaneo di altri concetti classici. Dal principio di complementarità discende, infatti, il dualismo onda-corpuscolo. È necessario ricordare che molti esperimenti sui sistemi microscopici mostrano che la materia presenta sia aspetti ondulatori che aspetti corpuscolari. Uno di questi esperimenti è quello noto come esperimento a due fenditure[9]. In questo esperimento un fascio di fotoni (o di elettroni), partiti da una sorgente a bassa intensità[10], viaggia verso uno schermo con due fenditure. Abbiamo poi un secondo schermo, dove viene ulteriormente proiettato il nostro fascio di elettroni. L’immagine proiettata in questo secondo schermo consta di frange di interferenza, chiare e scure, tipiche delle onde. Tuttavia, quando gli elettroni colpiscono lo schermo vengono rilevati come particelle.

La spiegazione, stando al principio di complementarità, è la seguente: gli elettroni tra la sorgente ed il secondo schermo si propagano come onde, ma quando colpiscono lo schermo vengono rilevati come particelle. Usando le parole di Fiscaletti, possiamo concludere che:

Onda e corpuscolo devono considerarsi aspetti complementari, e come tali inconciliabili, dei fenomeni atomici. Sulla base del principio di complementarietà, insomma, la natura corpuscolare e quella ondulatoria sono due aspetti della realtà fisica che non si possono mai evidenziare contemporaneamente, si ha piuttosto a che fare con un’alternativa secca tra questi due aspetti: se, per esempio, in un dato esperimento in un certo istante si mette in luce il carattere corpuscolare di una particella elementare, non è possibile mettere in mostra simultaneamente, in quello stesso esperimento, il suo carattere ondulatorio.[11]

Come spiegare il principio di complementarità alla luce dell’interpretazione ortodossa della Meccanica Quantistica? Questa “trasformazione” dell’elettrone da onda a corpuscolo è dovuta all’interferenza dell’osservatore con il sistema osservato. A questo punto è chiara l’importanza che il ruolo dell’osservatore assume in Meccanica Quantistica. L’ente matematico fondamentale è, in questa teoria, la funzione d’onda che ha lo scopo di descrivere il sistema in ogni istante dato. Essa non è altro che la proiezione di un vettore di stato nello spazio delle coordinate, dove il vettore di stato è un vettore in uno spazio di Hilbert.

È utile richiamare nuovamente le parole dell’autore, il quale sostiene che «il significato fisico della funzione d’onda è espresso dal postulato interpretativo di Born: il modulo quadrato della funzione d’onda |ψ(x, y, z, t)|2 rappresenta la probabilità di trovare la particella, all’istante t, nel punto di coordinate (x, y, z)»[12]. Quanto detto significa che è possibile fare solo una stima probabilistica, e non precisa, di ciò che accadrà durante una misurazione e che per ogni osservabile considerata è possibile che essa si trovi in quella situazione definita come sovrapposizione di stati, ossia di “stati possibili". Inoltre:

Un principio fondamentale su cui si basa l’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica è che la rappresentazione degli oggetti fisici offerta dalla funzione d’onda (o, in termini equivalenti, dal vettore di stato) è completa: tutto ciò che c’è da sapere su un dato sistema fisico in un dato istante assegnato si può ricavare dalla funzione d’onda.[13]

La probabilità, quindi, non è qualcosa che in linea di principio può essere soppiantata da una stima certa e precisa degli eventi, ma è qualcosa che riguarda la struttura ontica delle cose e quindi invalicabile per principio. Allora com’è possibile che durante una misurazione gli apparati di misura indichino dei precisi esiti e mai una sovrapposizione di risultati?

L’interpretazione ortodossa risolve quello che è noto come “problema della misurazione” introducendo la nozione di collasso della funzione d’onda (o riduzione del pacchetto d’onde). Quando vengono effettuate misurazioni, il sistema osservato “collassa” in uno dei possibili stati previsti dalla funzione d’onda. È chiaro che il postulato del collasso implica che l’osservatore abbia un ruolo preminente nella descrizione di un processo fisico. Per rendere più chiaro questo punto, Davide Fiscaletti richiama un paradosso molto intuitivo: il paradosso del gatto di Schrödinger, da cui l’autore prende spunto per dare il titolo al suo libro. La situazione paradossale e un po’ sadica che aveva immaginato Schrödinger può essere sinteticamente così descritta.

Supponiamo di avere una cavità sferica nel centro della quale è contenuto un atomo eccitato. L’atomo emette un fotone che può andare a colpire o la parete di sinistra o quella di destra della cavità. La parete di destra è un metallo fotoelettrico. Se il fotone colpisce la parete di destra, questa emette un elettrone e di conseguenza trasmette un impulso elettrico. Tale impulso, opportunamente amplificato, aziona un meccanismo che rompe una fiala piena di gas tossico. Il gas si espande in una scatola chiusa e isolata dall’esterno, nella quale si trova un gatto. Il gatto, raggiunto dal gas muore. Ora si consideri che l’atomo eccitato ha uguale probabilità di emettere il fotone verso destra come verso sinistra. Lo stato del sistema è una sovrapposizione di stati:

Fotone verso destra + fotone verso sinistra.

Ma allora possiamo ammettere che anche lo stesso gatto si trova in una sovrapposizione quantistica di stati:

Gatto vivo + gatto morto.

Quando diventa attuale la sopravivenza o la morte del gatto? Secondo l’interpretazione tradizionale della teoria quantistica, siamo noi che, aprendo la scatola e osservando, lo uccidiamo o gli diamo la vita.

Sia il problema della causalità che il problema dell’oggettivazione delle proprietà macroscopiche, come sottolinea Fiscaletti, sarebbero facilmente risolvibili se si considerasse incompleto il formalismo della meccanica quantistica. Per ovviare alle relazioni di indeterminazione e proporre un possibile completamento causale della teoria, Albert Einstein ha proposto numerosi esperimenti mentali. Quello che più interessa Fiscaletti è quello ideato dallo scienziato nel 1935[14] insieme a Boris Podolsky e Nathan Rosen.

Un noto esempio dell’esperimento EPR (Einstein, Podolsky, Rosen) è la versione di David Bohm del 1951, nota come esperimento EPR/B[15]. Nell’esperimento viene considerato un sistema fisico S composto di due parti, S1 ed S2 (particella 1 e particella 2). Le due parti del sistema sono inizialmente in diretta interazione l’una con l’altra, ma esse vengono successivamente separate in modo tale che si dirigano in direzioni opposte e da quel momento in poi non interagiscano. Tuttavia, i risultati delle misurazioni, ad esempio, della componente z dello spin sono perfettamente anticorrelati: se la particella 1 ha spin parallelo (antiparallelo) rispetto all’asse z, la particella 2 avrà spin antiparallelo (parallelo) rispetto allo stesso asse. Questo è uno stato detto entangled (intrecciato). Einstein, Podolsky e Rosen avevano assunto come vere le due seguenti condizioni:

1.    Realtà: se, senza disturbare in alcun modo un sistema, è possibile prevedere con certezza (vale a dire, con probabilità pari ad 1) il valore di una quantità fisica, allora esiste un elemento di realtà che corrisponde a questa quantità.

2.    Località: gli elementi di realtà fisica di un sistema non possono essere influenzati, secondo la Relatività speciale, istantaneamente a distanza

La condizione 1 è verificata dalla condizione di anticorrelazione ed essa comporta che, immediatamente dopo la misurazione sulla particella 1, la particella 2 possieda una precisa proprietà di spin lungo l’asse z. Dalla condizione 2, la cui accettazione è inevitabile per la teoria della Relatività Speciale, se ne deve concludere che la particella 2 ha una determinata proprietà di spin lungo z anche prima che venga fatta la misurazione sulla particella 1. Poiché al tempo di misurazione si sarebbe potuto scegliere di compiere la misura della componente di spin lungo un’altra direzione (per esempio la direzione x ortogonale a z) e si sarebbe potuto argomentare allo stesso modo, si potrebbe giungere alla conclusione che la particella 2, prima della misura, possiede anche l’elemento di realtà fisica (un certo spin lungo l’asse x) che corrisponde a una proprietà incompatibile con quella attribuita in precedenza (relativa allo spin lungo l’asse z).

L’esperimento ideale EPR sembra, a prima vista, confutare le relazioni di indeterminazione. Secondo le relazioni di indeterminazione introdotte da Heisenberg, il sottosistema S2, infatti, non può possedere simultaneamente una precisa componente di spin su z e una precisa componente di spin su x. Se noi assumiamo, come fecero Einstein, Podolsky e Rosen, che non c’è nessuna curiosa azione a distanza tra i due sistemi lontani e che il cambiamento nella componente z dello spin della particella 2 è solo un cambiamento della nostra conoscenza, allora noi possiamo concludere che S2 ha spin antiparallelo (parallelo) rispetto a z prima che occorra la misurazione in S1 e che il formalismo della meccanica quantistica sia incompleto. Secondo la condizione di completezza, infatti, qualsiasi proprietà oggettiva di un sistema fisico S deve essere rappresentata all’interno della teoria fisica che descrive S. In accordo, invece, con l’interpretazione ortodossa della teoria quantistica, se noi assumiamo che prima della misurazione le particelle non hanno spin definito[16], allora l’esperimento EPR/B sembra mostrare azioni non locali tra i due sistemi (particella 1, particella 2) e riusciamo a salvare la completezza del formalismo quantico.

Certamente, come sostiene Fiscaletti, non è unitaria la visione del mondo che “viene fuori” dall’interpretazione ortodossa della Meccanica Quantistica. Il mondo macroscopico è governato da causalità e da località e il ruolo dell’osservatore durante i processi di misurazione è assolutamente irrilevante. Il mondo microscopico, al contrario, è governato da non-causalità e non-località e il ruolo dell’osservatore è di primaria importanza; infatti, non sembra possibile scindere ciò che è osservato da chi osserva.

Giunto a queste conclusioni, l’autore dà avvio a una dettagliata analisi di tutte le teorie della Meccanica Quantistica alternative a quella ortodossa. In primis analizza una teoria che sicuramente ha riscontrato grande successo per la soluzione che essa offre al problema della misurazione. Si tratta della teoria ideata nel 1986 da Ghirardi, Rimini e Weber, nota come teoria GRW[17].

Come precedentemente detto, è garantito che le misurazioni forniscano sempre dei risultati precisi e secondo l’interpretazione ortodossa della Meccanica Quantistica è proprio il processo di misurazione a determinare questi risultati. Risultati precisi sono possibili, infatti, grazie al collasso della funzione d’onda, il quale consente il passaggio del sistema osservato da una sovrapposizione di stati a uno stato ben definito. Tuttavia, il concetto di misurazione non è affatto chiaro all’interno di questa interpretazione. Cosa si intende infatti per misurazione? Qual è il confine tra osservatore e oggetto osservato? È evidente che questo limite deve esistere da qualche parte poiché, da una misurazione, noi di fatto otteniamo un risultato preciso, non una sovrapposizione di esiti diversi.

Abbiamo bisogno di identificare in modo non ambiguo una linea di demarcazione tra due livelli di realtà: uno che presenta proprietà macroscopiche oggettive, l’altro che presenta sovrapposizione di stati differenti. Dove collocare allora la linea di demarcazione? È celebre la proposta di Eugene Paul Wigner[18], che fa appello al soggetto che osserva. Sarebbe insomma il soggetto “cosciente” a determinare il collasso della funzione d’onda. Naturalmente a questo punto ci si potrebbe chiedere che cosa si intende per percezione “cosciente”. Dare un ruolo preminente, insomma, al soggetto “cosciente” in un processo di misurazione non sembra la strada giusta da percorrere.

La teoria di Ghirardi, Rimini e Weber propone una soluzione in un’altra direzione. Questa interpretazione prospetta un processo di localizzazione spontanea. Bisogna dire, però, che per ogni singola particella, la probabilità di subire un collasso spontaneo è molto bassa: è molto difficile che un sistema isolato subisca, insomma, un collasso spontaneo. Pertanto, la probabilità di arrivare a osservare sperimentalmente un valore preciso di una variabile è davvero molto bassa. Ma andiamo a vedere cosa accade negli strumenti di misura.

Gli indici dei dispositivi di misurazione sono costituiti da migliaia di miliardi di particelle microscopiche, le quali si trovano, ciascuna, in uno stato di sovrapposizione. Se, ad esempio, il sistema osservato si trova in una sovrapposizione di due possibili stati di spin lungo l’asse z (spin in su e spin in giù), allora anche ciascuna particella dell’indice dello strumento di misura si troverà in una sovrapposizione di due possibili stati (lancetta verso l’alto o lancetta verso il basso). Si noti, tuttavia, che la probabilità che una delle particelle dell’indice subisca un collasso in uno stato preciso è molto elevata, dal momento che l’indice è formato da un numero imponente di particelle.

Secondo Ghirardi, Rimini e Weber, se accade che davvero una delle particelle dell’indice subisce un collasso spontaneo, allora tutte le particelle dell’indice dello strumento di misurazione collasseranno nello stesso identico stato (quello corrispondente a spin in su o quello corrispondente a spin in giù). Lo strumento di misura rileverà, così, un preciso risultato per la misura effettuata.

L’autore, al riguardo, sostiene che «la teoria GRW consente di risolvere in maniera soddisfacente il problema della misura, di riprodurre il fatto che in ogni operazione di misura si ottiene un unico, ben definito risultato»[19]. E ancora afferma:

Tutto ciò, naturalmente, è quanto vogliamo da una teoria del collasso della funzione d’onda e, per di più, tutto ciò deriva da una teoria che siamo in grado di formulare con assoluta chiarezza scientifica, senza chiamare in alcun modo in causa (a un livello fondamentale), “misurazioni”, “amplificazioni”, “registrazioni”, “osservazioni” o “menti”.[20]

Il postulato del collasso locale su cui si fonda la GRW non è legato alla presenza di osservatori senzienti. Di conseguenza, questa teoria, da questo punto di vista, sembra certamente migliore rispetto a quella ortodossa. Tuttavia, bisogna ammettere che, sebbene riesca a spiegare il problema della misurazione in un quadro soddisfacente, la teoria del collasso spontaneo incontra diversi problemi per quanto concerne la questione della causalità; infatti «se lo stato iniziale è dato dalla sovrapposizione di due stati che corrispondono a due situazioni microscopicamente distinguibili e percettivamente diverse […] non si può prevedere in quali di questi due stati avvenga il collasso»[21]. In breve, non esiste nessun parametro che mi aiuti a dire con precisione quale sarà lo stato del sistema. Il collasso della funzione d’onda avverrà, infatti, in maniera del tutto casuale.

Nel 1957 Hugh Everett propone un’interpretazione alternativa della Meccanica Quantistica[22]. Essa riguarda principalmente l’essenza del problema della misurazione. Everett propone di abbandonare il postulato del collasso della funzione d’onda introdotto dalla formulazione standard della Meccanica Quantistica. Nell’interpretazione ortodossa gli osservatori sono trattati come qualcosa di esterno al sistema quantistico e pertanto è indispensabile introdurre il postulato del collasso per legare, in qualche modo, chi osserva a ciò che è osservato. Per Everett, al contrario, la funzione d’onda è qualcosa che ha valore universale e si applica all’intero Universo: anche l’osservatore è “compreso” all’interno della funzione d’onda. Nella sua teoria interpretativa, Everett sostiene che le diverse componenti di una sovrapposizione, ad esempio di due stati, rappresentano due mondi fisici reali. L’idea è che nel corso di una misurazione di un’osservabile, il numero dei mondi fisici aumenti passando da uno a due e che l’osservatore sia anch’esso “sdoppiato” in quanto parte di questi mondi. In ciascuno di tali mondi la misurazione ha effettivamente un risultato preciso e l’osservatore ha una convinzione determinata circa tale risultato. I mondi che vengono a prodursi rimangono, inoltre, ignari l’uno dell’altro. Insomma: quando in un sistema quantistico si prospetta la possibilità di scegliere i risultati, l’universo si divide, cosicché tutte le possibili scelte si realizzano. Secondo questa concezione, dobbiamo accettare che ci siano un’infinità di mondi paralleli coesistenti con quello che vediamo in ogni istante e che ci sia un’infinità di individui, più o meno identici a ognuno di noi, che abitano questi mondi.

Questa interpretazione consente di risolvere il problema della misurazione abolendo il postulato del collasso grazie all’estensione delle leggi quantistiche all’osservatore e all’intero Universo. Tuttavia, l’interpretazione a molti mondi è stata oggetto di numerose critiche. Due di queste ci vengono presentate dagli autori de Il fantasma nell’atomo:

Due importanti critiche sono state sollevate contro la teoria dei molti universi. La prima è che essa introduce una quantità assurda di “eccessivo bagaglio metafisico”, nella descrizione del mondo fisico […].La seconda obbiezione a questa teoria è che si dice che sia non sperimentabile. Se la nostra coscienza è limitata ad un universo alla volta, come possiamo mai confermare o rifiutare l’esistenza di tutti gli altri?[23]

Per rendere meno “cruda” l’interpretazione a molti mondi è stata postulata una variante di questa teoria: l’interpretazione a molte menti. Anziché ricorrere a una pluralità di mondi e di osservatori si ammette un solo mondo e un solo osservatore, ma si dota quest’ultimo di un’infinità di menti. Ciascuna mente percepisce un esito del processo di misura per il quale sono ammissibili diversi esiti distinti. Mentre nell’interpretazione a molti mondi si danno tutti gli eventi possibili, in quella a molte menti si danno tutte le percezioni possibili. Ma come è possibile, per questa interpretazione, che ogni singolo individuo sia d’accordo con se stesso? Come arriva ogni singolo individuo ad avere un’unica visione precisa di un fenomeno quantistico?

È stata proposta, sempre su questa strada e come ricorda l’autore del nostro libro, un’altra interpretazione della Meccanica Quantistica: l’interpretazione a molte storie. Questa afferma che, sebbene vi sia un solo mondo fisico, quando sussiste uno stato di sovrapposizione, si danno diverse storie incompatibili relative a quel mondo, e entrambe le storie sono in qualche modo simultaneamente vere. A mio avviso, questa teoria va incontro, tuttavia, alle stesse critiche che vengono mosse all’interpretazione a molti mondi di Everett.

Stando a ciò che dice Fiscaletti, le ultime tre teorie presentate non riescono a risolvere adeguatamente il problema della misurazione ed esse, pertanto, non sono capaci di fornire una visione unitaria del mondo. Tutte le teorie interpretative finora presentate considerano completo il formalismo della meccanica quantistica. Ma, come precisa Fiscaletti, questa non sembra la strada giusta da percorrere:

Per realizzare, nei fondamenti della fisica, un quadro unitario soddisfacente anche per la questione della causalità […] bisogna assumere che la descrizione quantistica in termini della funzione d’onda deve essere completata aggiungendo opportune variabili supplementari al formalismo.[24]

Quest’operazione è stata effettivamente compiuta nel 1952[25] da David Bohm, sulla scia di quanto proposto da Louis de Broglie nel 1927. L’idea fondamentale alla base della teoria di Bohm, detta anche teoria dell’onda pilota, è che ogni particella sia dotata di un’onda che la “guidi” durante tutto il suo percorso. Questa interpretazione rappresenta la più importante teoria a variabili nascoste predittivamente equivalente alla Meccanica Quantistica in grado di fornire un completamento causale di quest’ultima. Insomma, come già accennato, sembra che questa teoria contrasti con quanto sostiene il teorema di impossibilità di von Neumann.

L’assegnazione di ipotetici parametri che completano la descrizione dello stato di un qualsiasi sistema fisico e consentono una descrizione causale, in realtà, sono le posizioni iniziali dei sistemi considerati. Si suppone, pertanto, che una particella abbia sempre una posizione esatta e che si possa sempre parlare di una traiettoria precisa. L’onda associata a ciascuna particella agisce esattamente come un’onda pilota che guida la particella corrispondente nelle regioni dove la sua funzione d’onda è più intensa e questo grazie all’azione di un potenziale quantico (che esprime, appunto, l’azione dell’onda sul corpuscolo). Nota la posizione iniziale di una particella, si dovrebbe riuscire anche a ricostruire la sua intera traiettoria grazie all’azione dell’onda, ossia della forza quanto-meccanica esercitata dal potenziale quantico. Se è conosciuta la posizione di una particella in un preciso istante e la sua funzione d’onda, allora è possibile calcolare anche la sua velocità. Ciò basterà a determinare la sua posizione in un istante appena successivo. Anche il valore della funzione d’onda si può facilmente ricavare grazie all’equazione di Schrödinger[26]. Così si può ottenere, in quello stesso istante, la velocità della particella. In questo modo siamo perfettamente in grado di determinare la traiettoria intera della particella in esame e di fornire una descrizione causale del fenomeno considerato. Va precisato, però, che in questa teoria le posizioni iniziali non sono conosciute, e infatti sono dette variabili nascoste. Non siamo in grado, pertanto, di ripercorrere la traiettoria precisa della nostra particella. Tuttavia, poiché l’onda trasporta la particella dove la funzione d’onda è più intensa, siamo capaci di effettuare una stima probabilistica su dove andrà a collocarsi la particella in un qualsiasi istante successivo a quello considerato, proprio come nell’interpretazione ortodossa della Meccanica Quantistica.

Ciò che bisogna sottolineare è che la probabilità, contrariamente a quanto accade nella teoria standard, nella teoria di Bohm assume un carattere epistemico[27]. La nostra ignoranza circa la traiettoria della nostra particella è dovuta alla nostra ignoranza circa la posizione iniziale della particella stessa. Il nostro sistema in esame non si trova in una sovrapposizione di stati. Esso possiede una posizione precisa anche se noi ne siamo all’oscuro e il suo comportamento è dovuto all’azione di un onda “reale” che non è unicamente una “distribuzione di probabilità”.

Va ancora detto che la teoria di David Bohm, come ricorda l’autore, è perfettamente deterministica ma è anche non-locale. La non-località sarebbe dovuta proprio all’azione del potenziale quantico: il potenziale quantico totale che si esercita su ciascuna particella dipende dalle posizioni di tutte le particelle del sistema. La teoria di Bohm si muove entro i limiti posti dal teorema di Joh Bell del 1964[28], che prevede l’impossibilità di un completamento causale della Meccanica Quantistica in senso locale. La Meccanica Quantistica, secondo Bell, non può essere completata localmente attraverso l’introduzione di variabili nascoste. Nessuna teoria che soddisfi entrambi i principi di separabilità e località è adeguata per una descrizione corretta del “mondo quantico” in generale.

Giunto a tal punto, l’autore del nostro libro si chiede qual è la visione del mondo offerta dall’interpretazione dell’onda pilota di de Broglie-Bohm. Certamente si tratta di una visione più unitaria rispetto a quella proposta dall’interpretazione ortodossa e da tutte le altre teorie presentate nel libro. La teoria dell’onda pilota è altamente coerente sul piano fisico in quanto riproduce sul piano empirico tutte le predizioni matematiche della Meccanica Quantistica. L’esperimento a due fenditure è, ad esempio, coerentemente spiegato all’interno della concezione di David Bohm.

La spiegazione dell’esperimento, stando alla teoria dell’onda pilota, è la seguente: gli elettroni tra la sorgente ed il secondo schermo si propagano contemporaneamente sia come onde che come corpuscoli. L’onda che accompagna ogni singolo elettrone passa attraverso entrambe le fenditure, l’elettrone attraverso una singola fenditura. È per questo motivo che ogni singolo elettrone è rilevato nel secondo schermo come una particella, ma si osserva anche una figura di interferenza che è tipica delle onde.

L’interpretazione di David Bohm, come visto, risolve il problema della misurazione riducendo le probabilità ontiche a probabilità epistemiche. All’interno di questa teoria, il soggetto perde l’importanza che aveva all’interno della teoria ortodossa. Non abbiamo più, infatti, il collasso della funzione d’onda. Il quadro che tale teoria fornisce, inoltre, è causale. Qualora fosse nota la posizione iniziale di una particella, potremmo descrivere la sua traiettoria precisa.

L’autore precisa anche che la non-località dei sistemi quantistici non deve essere vista come un limite della teoria dell’onda pilota. Nella teoria di Bohm il limite classico si può facilmente ottenere supponendo che il potenziale quantico, che è responsabile della non-località, tenda allo zero nel mondo classico. Anche i corpi macroscopici hanno un’onda che li accompagna nei loro movimenti, ma l’azione di quest’ultima diventa irrilevante.

In conclusione, è possibile affermare che il dualismo reale onda-corpuscolo, proposto dalla teoria di Bohm, consente di spiegare in modo assai convincente tutti i risultati sperimentali che abbiamo a disposizione, di risolvere il problema della misurazione, di proporre una spiegazione causale dei fenomeni quantistici e di avere come caso limite la meccanica classica per quanto concerne la questione della non-località. Insomma, la teoria dell’onda pilota comporta un’immagine unitaria del mondo e, a detta dell’autore, questo la colloca in una netta posizione di superiorità rispetto alle altre interpretazioni della Meccanica Quantistica. Oltretutto, pare che questa teoria sia anche in grado di spiegare le quattro interazioni fondamentali (o quattro forze fondamentali). Sia la forza gravitazionale che quella elettromagnetica, sia la forza nucleare forte che la forza nucleare debole potrebbero essere spiegate grazie all’azione dell’onda prodotta dalla combinazione delle singole onde associate a ciascun corpo coinvolto nel processo fisico.

Per quanto concerne l’interpretazione dell’onda pilota, insieme a Davide Fiscaletti possiamo concludere che:

Sulla base delle questioni affrontate in questo libro, questo schema teorico può essere considerato il modello più soddisfacente per descrivere i diversi fenomeni naturali, sia sul piano fisico che su quello epistemologico proprio per l’immagine unitaria che esso comporta.

Essa non va, tuttavia, considerato come la verità definitiva e completa, la “fine della strada” nella fisica.[29]

Ma, come sostiene l’autore, essa rappresenta un buon punto di partenza per importanti sviluppi futuri e verso una descrizione più unitaria del mondo.

 

Alessandra Melas

 



[1] Einstein, (1953, trad. it. 252).

[2] Vedi Heisenberg (1927).

[3] Fiscaletti (2007, 27).

[4] Vedi Bohr (1928).

[5] Fiscaletti (2007, 19).

[6] Ivi, 20.

[7] Ivi, 20-21.

[8] Vedi von Neumann (1932, 305-325).

[9] Vedi Feynman (1970, trad. it. 1-12).

[10] Che consente di inviare gli elettroni uno alla volta.

[11] Fiscaletti, (2007, 22).

[12] Ivi, 33.

[13] Ibid.

[14] Vedi Einstein, Podolsky, Rosen, (1935).

[15] Vedi Bohm, (1951, 614-622).

[16] Esse possiedono spin definito solo con la misurazione.

[17] Vedi Ghirardi, Rimini, Weber (1986).

[18] Vedi Wigner (1962).

[19] Fiscaletti, (2007, 74-75).

[20] Ivi, 76.

[21] Ivi, 81.

[22] Vedi Everett III, (1957).

[23] Davies, Brown, (1992, 95).

[24] Fiscaletti, (2007, 103-104).

[25] Vedi Bohm, (1952).

[26] La funzione d’onda evolve nel tempo secondo l’equazione di Schrödinger.

[27] Bisogna tuttavia sottolineare che il presunto carattere epistemico della probabilità nella teoria di David Bohm, non avvicina necessariamente questa teoria alla Meccanica Statistica, in quanto non tutti i teorici considerano epistemico il carattere della probabilità in quest’ultima.

[28] Vedi Bell (1964).

[29] Fiscaletti, (2007, 214-215).

 

 

Bibliografia

 

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